BUSINESS PLAN E REDDITIVITÀ D’IMPRESA


Daniel de Mari

Daniel de Mari

Ciao, sono Daniel de Mari, imprenditore ed investitore immobiliare. Fondo un'azienda, la rendo autonoma, fondo  la prossima. Ho creato questo blog per parlare della mia grande passione (ed ossessione): fare impresa.

business plan e redditività

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In questo articolo si farà chiarezza su cosa significano i termini business plan e redditività d’impresa.  E su come sono strettamente collegati.

Com’è naturale, la decisione di investire delle somme di denaro o dei beni sull’uno o sull’altro progetto impresariale arriva dopo una serie di ragionamenti.

Allo stesso modo, le imprese cercano nuovi investitori. Lo scopo è di dare un’ulteriore spinta a progetti che sono già in cantiere oppure all’inizio della loro parabola (start-up).

C’è un incontro di interessi tra chi cerca di attrarre capitali e chi li vuole investire per guadagnarci. Ed è reso – tra le altre cose – possibile dalla divulgazione del business plan aziendale.

D’altra parte, una suddivisione dei guadagni si ha quando l’impresa è redditizia.

 

IL BUSINESS PLAN

Per iniziare, si parlerà di business plan.

Vale a dire, di com’è che l’impresa mette nero su bianco il proprio progetto impresariale. Oppure il piano industriale sempre nel medio-lungo termine.

Questa procedura ha duplice funzione. La prima – interna – di pianificazione strategica. La seconda – esterna e già accennata – di attrarre potenziali investitori e/o finanziatori.

 

BUSINESS PLAN E REDDITIVITA’: STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE STRATEGICA

Per quanto riguarda il fine interno, gli strumenti di pianificazione strategica a disposizione delle imprese sono molteplici.

Sono, allo stesso tempo, fondamentali e spesso non-mutualmente esclusivi.

In questa sezione si descrivono brevemente quattro di loro.

Una volta utilizzati, contribuiscono a dare vita al business plan.  E, successivamente, a guidare il management dell’azienda nel proprio processo decisionale.

 

BUSINESS PLAN E REDDITIVITA’: L’ANALISI SWOT

L’acronimo SWOT significa Strengths-Weaknesses-Opportunities-Threats. Cioè, in italiano: Punti di forza-Debolezze-Opportunità-Minacce.

Dopo essersi dati degli obiettivi, l’impresa inserisce questi fattori in una matrice 2×2 – quindi di quattro sezioni.

E qui si operano, appunto, due distinzioni.

Cioè fattori positivi/negativi da un lato, Strengths e Opportunities, mentre dall’altro Weaknesses e Threats.

Oltre a fattori interni/esterni. Rispettivamente Strengths-Weaknesses e Opportunities-Threats.

Chiaramente, è interno quel fattore su cui l’impresa ha un controllo diretto.

Ad esempio, la gestione del personale e delle finanze, la disposizione della capacità di produzione. O ancora la scelta di localizzazione delle filiali.

Mentre quelli esterni non sono controllabili e sono intesi da sfruttare a proprio favore o da arginare per evitare che danneggino l’attività.

Si possono descrivere nei modi che andiamo a elencare.

 

1. STRENGHTS

(Quadrante in alto a sinistra: fattore interno e positivo – da mantenere).

Dato un obiettivo preciso, che fattori positivi ha a disposizione l’azienda per raggiungerlo?

Un punto di forza sarà individuato determinando quali sono i vantaggi competitivi dell’impresa.

Così come se la stessa parte da una posizione di vantaggio rispetto ai suoi competitors e per quali ragioni

 

2. WEAKNESS

(Quadrante in alto a destra: fattore interno e negativo – da migliorare).

Quali fattori rendono più difficile raggiungere gli obiettivi prefissati?

Nel trovare una risposta, l’impresa si deve interrogare sulle lamentele della clientela. Oltre che sulle mancanze di stimoli, conoscenze, risorse ecc. dei gruppi di lavoro. E, inoltre, sulla ristrettezza della visibilità del brand. Oppure sulla scarsità di una certa cultura aziendale.

 

3. OPPORTUNITIES

(Quadrante in basso a sinistra: fattore esterno e positivo – da sfruttare).

Ci sono dei fattori esterni che possono fare in modo che il business cresca?

 

4. THREATS

(Quadrante in basso a destra: fattore esterno e negativo – da circoscrivere).

Soffermarsi sulle minacce all’attività significa pesare le potenzialità della concorrenza.

E immaginare i margini di sviluppo del mercato di riferimento.

Così come anticipare le prospettive di un aumento dei costi delle materie prime e/o dei beni semilavorati.

O, ancora, individuare una possibile modifica legislativa che riduca la gamma di scelte a disposizione dell’impresa.

BUSINESS PLAN  E REDDITIVITA’: IL MODELLO VRIO

Le competenze/risorse – così come le carenze – chiave (ed interne) dell’impresa sono dunque riconoscibili dal cosiddetto Modello VRIO.

L’acronimo anglofono sta per Valuable (di valore), Rare (raro), Inimitable cioè di complicata oppure impossibile imitazione.

E, infine, Organized. Cioè organizzato nell’accezione di un’impresa che è nella posizione di sfruttare la risorsa/vantaggio in questione. Il fine è di ottenere da essa valore.

Mentre, per quanto riguarda il terzo ed il quarto fattore, sono entrambi esterni e quindi fuori dal controllo dell’azienda.

Perciò l’Analisi PEST e delle cinque forze di Porter (che si menzionano qui di seguito) sono di sicura utilità.

 

L’ANALISI PEST

Il suo scopo è intercettare i cambiamenti esterni che influenzano le condizioni in cui opera l’azienda. E far in modo di sfruttarli positivamente.

Contrariamente, l’impresa si ritroverebbe in balia di eventi che sono al di là del proprio controllo.

 

LE VARIABILI DEL PEST

L’acronimo PEST è il risultato di quattro variabili (Politica, Economia, Società e Tecnologia).

  1. Politica è l’area delle attuazioni dell’esecutivo, delle sentenze della magistratura. O ancora dell’influenza delle organizzazioni extra-nazionali sull’ambiente normativo in cui l’azienda si districa.
  2. Economia vuole dire che, tra le altre cose, variazioni del contesto macroeconomico internazionale possono determinare una restrizione.
    Oppure un aumento di ottimismo e spese di utenti e pubbliche amministrazioni. Così come portare ad una variazione della capacità generale di accesso al credito (ovvero di ottenimento di finanziamenti).

    SOCIETA’ E TECNOLOGIA

  3. Società è, per esempio, cambiamenti negli atteggiamenti e/o nelle percezioni che i cittadini a riguardo di alcuni temi. Cambiamenti di questo tipo possono essere dovuti a fatti di cronaca. Oppure all’influenza delle rispettive ‘bolle d’informazione’ di appartenenza. O ancora a fattori demografici le cui ripercussioni si appezzano a maggior ragione nel lungo período;
  4. Tecnologia si riferisce alle nuove scoperte scientifiche. Si applicano al processo produttivo così come al miglioramento e/o la costruzione di infrastrutture. E si vanno a sommare a quelle già esistenti.

business plan e redditività

I VARI FATTORI DA VALUTARE

Tuttavia, si includono sempre più spesso altri fattori come ‘Legale’, ‘Ambiente’ o ‘Etica’.

Ad esempio, il primo ragiona sulla giurisprudenza che si è andata consolidando nelle aule dei tribunali o sui diritti del consumatore.

Gli altri due, invece, rispettivamente sull’abbondanza/carenza attesa di risorse. E sulle risposte positive/negative della clientela, dei mezzi di comunicazione. O dei detentori di interessi a vario titolo (stakeholder).

 

BUSINESS PLAN E REDDITIVITA’: L’ANALISI DELLE CINQUE FORZE DI PORTER

Conosciuta anche come “Modello delle cinque forze competitive” ha quale fine valutare il grado di competitività dell’azienda in relazione alla concorrenza.

E’ stata sviluppata per la prima volta nel 1979.

E spiega con cinque fattori gli elementi che rendono la strategia dell’impresa portatrice di profitto ed attrattiva nel mercato in uno scenario di lungo periodo.

Maggiore l’intensità di queste forze, minore la profittabilità.

 

LE VARIABILI

  1. Concorrenza diretta: da intendere come portata da imprese che hanno il proprio mercato nel medesimo settore. Più queste sono in numero, più è complicato avere dei vantaggi competitivi.
  2. Potenziali entranti: minori sono le barriere all’entrata nel settore, maggiore la probabilità che nuove aziende siano da annoverare tra i concorrenti.
  3. La produzione di beni sostitutivi diversi da quelli dell’impresa di riferimento. Devono soddisfare allo stesso modo – o di più – i bisogni del consumatore. Come? Influendo sulle vendite. Lo scenario si può presentare in caso di prodotti con un miglior rapporto qualità/prezzo.

    FORNITORI E CLIENTI

  4. Fornitori: intesi come coloro dai quali l’azienda acquista le materie prime. Oppure i beni semilavorati che necessita per portare a termine il proprio processo produttivo.
  5. Clienti: i destinatari della produzione dell’impresa. Detengono la possibilità ultima di alterare il ciclo delle vendite. Possono farlo privilegiando un competitor oppure divenendo anch’essi produttori.

 

LA MATRICE BCG

E’ composta da quattro aree estese sul piano cartesiano.

L’asse x – orizzontale – permette di confrontare la propria quota di mercato con quella del concorrente più forte.

Se il valore è maggiore di uno, si è nella posizione di leader. Se, invece, è inferiore, si è nella posizione di competitor dell’impresa di riferimento.

Invece, l’asse y – verticale – descrive la crescita di mercato per un determinato prodotto.

Vale a dire il volume di mercato attuale comparato a quello del periodo precedente: il valore è espresso in percentuale.

Sulla base di queste due dimensioni, si opera una classificazione del prodotti in quattro tipologie.

 

CLASSIFICAZIONE DEI PRODOTTI

  1. Question mark (il quadrante in alto a sinistra). Raccoglie i prodotti che sono apparsi solo recentemente nel mercato. E che, quindi, sono imprevedibili (avranno successo? saranno dei flop?). Questi beni detengono basse quote di mercato e necessitano di ampi investimenti per generare maggiori volumi di affari.
  2. Star (in alto a destra): prodotti con un’elevata e crescente quota di mercato. Si tratta di un altro caso in cui sono richiesti cospicui investimenti. Soprattutto nell’ottica di controbattere alla concorrenza di chi vi intravede un’area in espansione.

    CASH COW E DOG

  3. Cash cow (in basso a destra): alcuni prodotti Star confluiscono in questa categoria dove c’è generalmente un rendimento molto elevato. E in cui le quote di mercato di ciascun bene sono divenute importanti. Ciò significa che non ci sono particolari margini di crescita.
  4. Dog (in basso a sinistra): trattasi, infine, prodotti o servizi con basse quote di mercato. La loro crescita è marginale o, in qualche caso, negativa. Le imprese tendono generalmente a voler disimpegnare i capitali investiti prima che le perdite passino da marginali a troppo grandi.

 

ATTRARRE INVESTITORI E IMPRENDITORI

Abbiamo dato qualche cenno su come un’impresa procede alla pianificazione strategica. E guardato il dietro le quinte di ogni business plan.

Ora possiamo ora parlare della faccia esterna della medaglia, quella che più ci interessa ai fini di questo articolo.

É tendenza consolidata dividere ciascun documento di questo tipo in due parti: una descrittiva ed una numerica.

La parte descrittiva (o qualitativa) parla dei mercati di riferimento nonché del settore in cui opera l’azienda.

Qui si spiegano la strategia e gli obiettivi così come si dettagliano il piano operativo e chi ne prende parte.

Allo stesso modo, trovano spazio la fattibilità del piano ed i mezzi necessari al suo raggiungimento.

In quella numerica (o quantitativa), invece, si trovano proiezioni economiche e finanziarie che non sono altro che la traduzione della parte descrittiva.

Generalmente, comunque, nessun business plan segue una struttura rigida.

Ciò che conta maggiormente è menzionare i punti fondamentali in considerazione dello scopo e del pubblico per cui viene redatto.

Altra cosa da sottolineare è che un documento di tal genere viene (o dovrebbe essere) periodicamente aggiornato.

 

COSA COMPRENDE IL BUSINESS PLAN?

EXECUTIVE SUMMARY

Il cosiddetto “Executive Summary“, che altro non è che la sintesi del progetto imprenditoriale.

Sotto questa voce si menzionano la storia dell’impresa, chi l’ha fondata ed i suoi principi guidanti nella società civile.

In seguito, si passano in rassegna le opportunità passate e future di cui l’azienda ha tratto e vuole continuar a trarre vantaggio. Detto in altro modo, i suoi punti forti.

L’odierna composizione societaria, i rapporti con le altre imprese del settore o con quelle appartenenti alla stessa catena produttiva.

Le caratteristiche principali del gruppo imprenditoriale, chi ne fa parte e con che motivazioni.

Ciò implica parlare delle diverse esperienze e credenziali dei membri così come del loro ruolo prospettato nel nuovo progetto impresariale.

In altre parole, si traccia una divisione tra funzioni organizzative (controllo e gestione) e funzioni politiche (meccanismi di coordinamento interni ed esterni all’impresa).

 

IL MERCATO E LA CONCORRENZA

Il mercato dove l’azienda intende entrare o aumentare la propria quota di mercato.

Qui si citano le dimensioni e le prospettive di sviluppo della domanda per i beni che essa produce nonché a che fattori sono legati (stagionalità, approvazione di una legge specifica, sfruttamento di una risorsa naturale ecc.).

A tal scopo, si prendono in considerazione ricerche ed inchieste di mercato (inclusa la forza del potere contrattuale della clientela).

La presenza di concorrenza. A questo rispetto, si profilano i principali concorrenti (mezzi, dimensioni e quota di mercato, grado di competitività, sviluppo tecnologico).

Tali considerazioni comprendono anche lo scenario in cui nuovi attori superino le barriere all’entrata nel settore ed entrino a far parte della concorrenza.

Si identificano, allo stesso modo, anche prodotti e servizi sostitutivi.

 

INCLUDE INOLTRE…

I mercati di approvvigionamento. Vale a dire, le principali fonti di materie prime o prodotti semi-lavorati e le condizioni alle quali si suole ottenere i beni.

Come, ad esempio: affidabilità del fornitore, costanza di offerta e prezzi.
Allo stesso modo, si esaminano il potere contrattuale dei fornitori.

Un approfondimento sul prodotto o servizio che sta alla base del piano industriale che si sta lanciando. Il contesto di brevetti/licenze esclusive, talvolta è in possesso dell’impresa.

Come può essere nel caso del settore farmaceutico.

E si descrive la lacuna/bisogno che si intende soddisfare nel mercato. Oltre all’orizzonte temporale in cui ci si prospetta redditizio farlo.

Nel caso si tratti di un prodotto nuovo – o, quantomeno di un qualcosa che l’azienda non ha mai commercializzato – si dettagliano quelle che sono le fasi già completate e quelle che, invece, sono da ultimare.

A queste vanno aggiunti costi e tempi della messa a punto.

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STRATEGIA DI COMMERCIALIZZAZIONE

La strategia di commercializzazione. Cioè la filosofia di marketing adottata. A chi è rivolto il prodotto, perché, con che prezzo e modalità.

Se sono previste pubblicità su larga scala (e di che tipo) nonché come si prevede di procedere alla distribuzione.

E cioè tramite canali in possesso dell’azienda o affidandosi a esterni.

Ovviamente, commercializzare un prodotto include dei costi. Vanno ripagati per cui si prevede un budget minimo delle vendite da superare.

 

BUSINESS PLAN E REDDITIVITA’: PATRIMONIO ESISTENTE

Il patrimonio tecnico-industriale esistente. Ovvero, se si intende/è necessario affidare parti della produzione ad imprese esterne.

Ad esempio perché queste sono in possesso di un maggiore know-how o di un brevetto esclusivo. E a che condizioni farlo.

Allo stesso modo, ci si chiede quanto personale interno è richiesto. E se sono previste delle assunzioni o si parla di ridimensionamento.  E con che capacità.

Allo stesso modo vanno stabilite una filiera di controllo della qualità e di assistenza/riparazione nel caso in cui il prodotto/servizio non soddisfi il cliente.

 

NETWORK E PROIEZIONI

Il network aziendale in essere. Inteso come una sintesi degli accordi che sono già in vigore con altre realtà impresariali.

Oltre a che cosa includono e come ci si attende possano evolvere in futuro.

Le proiezioni economico-finanziarie del gruppo. Vi rientrano conti economici, stati patrimoniali, flussi finanziari, indici di sviluppo.

Come redditività, liquidità, solidità. E un’analisi del punto di pareggio finanziario. Vale a dire quando i ricavi totali equivalgono ai costi totali.

E i rischi: perdite in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi che il progetto presenta.

 

RAPPORTI CON INVESTITORI E ALLEGATI

Rapporti con l’investitore e/o il finanziatore: cosa gli si offre e cosa gli si chiede.
A tal proposito va sottolineata la differenza esistente tra le due figure.

Dove l’investitore si assume – in linea teorica – dei rischi maggiori del finanziatore.
Il primo, infatti, investe con la speranza di vedere incrementare il capitale iniziale.

Tuttavia, esiste la possibilità che il progetto non soddisfi le aspettative e che le perdite siano a suo carico.

Il secondo, invece, è sostanzialmente un’istituto o società di credito autorizzata che concede denaro all’impresa. Previa stipulazione delle condizioni/garanzie della sua restituzione, di norma con degli interessi.

Di conseguenza, vanno stabiliti la durata del finanziamento, l’importo e la frequenza dei rimborsi, detti più comunemente “rate”. Nel nostro caso, consideriamo soprattutto il concetto di investimento.

Gli allegati. Quali lo Stato Patrimoniale dell’impresa, il Conto Economico, il Prospetto di Tesoreria. E, in talune circostanze, l’Atto Costitutivo e lo Statuto dell’azienda.

 

LA LETTURA DEL BUSINESS PLAN

Di tutte le parti menzionate, la più importante è senza dubbio l’Executive Summary.

Da lì inizia la lettura del business plan e lì l’impresa deve catturare l’intenzione dell’investitore. Per questo motivo, si auspica che questa sintesi sia:

  1. Coincisa. Come detto, si tratta di un riassunto dell’intero piano industriale.
  2. Chiara e realizzabile. Vanno scartate premesse troppo ambiziose o difficilmente verosimili.
  3. Argomentata con dati realistici e quantitativamente soddisfacenti.
  4. Redatta ottimamente. Senza, vale a dire, errori grammaticali, ortografici o sintattici.
  5. Originale e creativa. Si deve trasmettere cosa rende l’azienda diversa da tutte le altre.

Di tutte queste componenti e con in mente un aggiornamento periodico del documento, la sinteticità occupa un ruolo preminente.

In questo caso, si parla di business plan “lean” (dall’inglese, traducibile con “snello”).

Un documento redatto secondo questa formula avrà quattro parti essenziali:

  1. Strategica (cosa si vuole fare).
  2. Tattica (come).
  3. Esecutiva (chi).
  4. Finanziaria (per quali risultati).

 

BUSINESS PLAN E REDDITIVITA’: LA PARTE NUMERICA

Prendiamo in considerazione la parte numerica del business plan. Occorre tenere sotto controllo pochi (ma imprescindibili) indicatori di bilancio.

In questo modo si può capire se il piano in oggetto si può definire credibile e sostenibile.

Innanzitutto, va monitorata l’evoluzione della redditività, che si esprime rapportando il reddito operativo (EBIT) e le vendite.

Quando tale indicatore migliora in maniera sensibile rispetto al passato significa che l’impresa ha la capacità di produrre a costi inferiori.

Oppure che, a parità degli stessi, intende vendere a prezzi maggiori.

Tale miglioramento delle performance è credibile illustrando le ipotesi.

Come articolazione dei ricavi e dei costi di materie prime, crescita del fatturato storica e coerente con l’andamento della concorrenza che ne stanno alla base.

 

MONITORARE

In secondo luogo, si deve monitorare il rapporto tra le vendite e l’attivo patrimoniale.

Infine, si esamina nello specifico la struttura finanziaria dell’impresa, da leggere come rapporto di indebitamento.

Un cambiamento della struttura finanziaria del business plan va solitamente a braccetto con un mutamento della strategia finanziaria del gruppo.

Quanto detto accade per svariate ragioni. Si possono citare un aumento di capitalizzazione oppure un aumento della leva finanziaria.

A tal proposito, è chiaro che la struttura finanziaria sia strettamente legata alle altre due componenti operative appena passate in rassegna.

Ad esempio un miglioramento della redditività e dell’efficienza dell’uso di capitali produrrà un maggiore flusso di cassa, il “cash flow”.

E ridurrà l’indebitamento finanziario e portando ad un aumento della capitalizzazione.

 

REDDITIVITA’ D’IMPRESA

Con le premesse fatte al punto precedente, possiamo ora parlare di business plan e redditività d’impresa.

Per cominciare, la redditività è la capacità dell’impresa di remunerare i fattori produttivi che sono stati impiegati.

In altre parole, spiega la redistribuzione dei guadagni quando un piano industriale ha successo.

È misurata tramite alcuni indicatori economici come – tra gli altri – il ROI, acronimo dell’inglese “Return On Investments”. Determina il guadagno in % sugli investimenti effettuati.

Altro indicatore è il ROE. Sta per “Return On Equity” che misura il rendimento in % del capitale netto).

 

IL ROS

Infine si deve tenere conto del ROS. E’ la sigla di “Return On Sales” che, finalmente, indica il guadagno in % sulle vendite.

In linea di principio e per una maggiore accuratezza, questi indici di redditività andrebbero sempre inseriti in una riflessione di più ampio respiro sulle attività aziendali.

Singolarmente non sono in grado di rappresentare la realtà del piano industriale. E vanno, per questo motivo, messi in relazioni ad altri indici. Come quelli finanziari e patrimoniali.

E si calcolano su bilanci di annualità differenti.

Ovviamente, quanto più è stato redatto con attenzione il business plan, tanto più si considera probabile che esista un ritorno positivo per chi ha investito sul capitale.

 

ROI, ROE E ROS NEL DETTAGLIO

Continuiamo a esaminare la relazione tra business plan e redditività d’impresa esaminando gli indicatori economici più importanti.

Il ROI si calcola mettendo a rapporto reddito operativo totale attivo di stato patrimoniale.

La sua formula è dunque: (Reddito Operativo / Totale Attivo) x 100. Il risultato mostrerà la quantità di € guadagnati per ogni 100€ investitI.

Il ROE è dato dalla relazione tra risultato di esercizio, quindi il reddito netto, e patrimonio netto.

Li scriviamo come: Utile / Patrimonio Netto x 100.

Tale indice viene utilizzato in particolare per l’analisi delle società quotate in borsa.

Queste – a differenza delle Piccole e Medie Imprese (PMI) – hanno una valorizzazione di mercato.

Di conseguenza, il valore del patrimonio netto preso in considerazione è quello di capitalizzazione in borsa.

Nel caso di una società non quotata, si tende ad utilizzare il dato del patrimonio netto che si può ricavare dal bilancio.

Comunque sia, otterremo la quantità di € guadagnati per ogni 100€ investiti dai soci dell’azienda.

 

L’INDICE ROS

Il ROS, finalmente, è dato da reddito operativo e ricavi da vendite/prestazioni.

E si traduce in: Reddito Operativo / Ricavi da vendite x 100.

Anche in questo caso, si verrà a conoscenza della quantità di € guadagnati per ogni 100€ di beni venduti.

Preme sottolineare che il valore minimo dovrebbe essere in grado di ripagare quantomeno gli interessi passivi.

Va tenuto costantemente monitorato.

 

EBIT: UNO STRUMENTO UTILE PER CALCOLARE LA REDDITIVITA’

Oltre agli indici appena menzionati, altro strumento a disposizione dell’azienda per calcolare la redditività è l’EBIT, Earnings Before Interests and Taxes.

L’EBIT esclude dal conto oneri finanziari e tasse. E fornisce una misurazione più veritiera dell’efficacia della gestione operativa aziendale rispetto a quanto non possa fare il Risultato d’Esercizio.

Può, a titolo esemplificativo, dare prova di come un’impresa risparmia sugli investimenti e spende poco per innovare.

Perciò, senza un’inversione di rotta, i vantaggi che si apprezzano nel breve periodo tenderanno a tramutarsi in una perdita di competitività nell’orizzonte temporale di medio raggio.

Oppure che, sì, l’azienda sta investendo ma senza aver chiesto denaro a terzi. E, dunque, senza accumulare interessi da pagare sullo stesso denaro.

 

IL MOL: VARIANTE DELL’EBIT

Variante dell’EBIT è il MOL che significa Margine Operativo Lordo, oppure EBITDA in inglese.

Per cui si eliminano dal conto anche ammortamenti e svalutazioni: DA, Depreciation and Amortization.

L’indice di efficiente produzione, invece, esprime la capacità aziendale di produrre reddito.

La formula per ottenerlo è la seguente: ricavi da vendite diviso break-even point. O punto di pareggio tra ricavi e costi aziendali.

Di conseguenza, per poter essere considerato sufficiente, il risultato deve essere quanto meno positivo (l’azienda è in grado di produrre reddito).

Altrimenti, se negativo, l’azienda matura una perdita di esercizio.

 

IL ROD

Infine, indicatori come il ROD (Return on Debt), seppure non calcolino in modo diretto la redditività, misura quanto la stessa sia influenzata dai costi di finanziamento.

Ovvero, dice quanto pesano i tassi d’interesse applicati sui debiti contratti dall’impresa.

La formula per stabilire il ROD è: oneri finanziari / mezzi di terzi x 100. Per ogni 100€ di debito si determina quanti € vanno spesi in interessi.

In conclusione, oltre ad attrarre potenziali investitori, la relazione tra business plan e redditività d’impresa permette all’imprenditore di valutare gli eventuali miglioramenti della propria azienda.

Sia sul piano interno che in comparazione con  quelli di altre aziende.

Quest’ultimo processo è detto benchmarking. Altro non è che un processo che si svolge ogni anno quando si procede ad una revisione delle strategie dell’impresa.

In linea generale, sarà importante scegliere un metodo e dargli continuità nel tempo al fine di mantenere dei riferimenti ben precisi.

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